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Borghetto, in val Febbraro, verso il passo di Baldiscio

Val Febbraro

Bellissima riscoperta la val Febbraro. Questa piccola valle, chiusa nel cuore delle montagne che segnano il confine tra la svizzera Mesolcina e la Valle Spluga (prosecuzione verso nord della val Chiavenna), è una vera gemma. C'eravamo stati nel febbraio del 2021 quando la giornata di sole era stata velata, pesantemente, da un pulviscolo sahariano che aveva quasi oscurato il sole rendendo impossibile apprezzare i panorami. Ci siamo ritornati settimana scorsa: giovedì 11/1 è stato una splendida giornata, tersa con una spolverata di neve fresca caduta la notte prima a rendere ancora più divertente la ciaspolata.

La ciaspolata vive tre momenti: una prima, impegnativa, risalita tra le radure a monte di Isola, affacciandosi su antichi nuclei rurali caratterizzati da una suggestiva edilizia tradizionale (Ca' Raseri e Stabisotto); un lungo passaggio quasi pianeggiante nel gelido bosco innevato, dove il sole non batte mai per numerose settimane; il finale in salita, quando il sentiero risale il crinale a zig zag e, in uscita dal bosco, conduce a Borghetto, villaggio dalla storia antica.

Borghetto, come racconta il pannello informativo presente ad Isola, è un territorio abitato da migliaia di anni: cacciatori del Mesolitico frequentavano questi pendii e prova ne è il ritrovamento di una pietra scheggiata, risultato di una lavorazione preistorica.
Si può, come premesso, proseguire anche oltre verso il passo di Baldiscio ma è richiesta una maggiore capacità di valutazione locale del pericolo oltre ad un buon senso dell'orientamento. Da evitare anche in caso di scarsa visibilità. Baldiscio deriva  da “balteus”, cioè "balza, zona scoscesa e ripida" e questo invita alla prudenza!

La storia del passo di Baldiscio è curiosa e prendiamo in prestito le parole di Albano Marcarini nel suo sito "Sentieri d'autore" per raccontarne alcuni frammenti. 
"Il passo del Baldiscio non ha un grande rilievo. Pochi sanno dov’è, nessun personaggio storico lo ha mai varcato, non lo ha fatto il Barbarossa e neppure Goethe. Collega la Val Mesolcina con la Val San Giacomo, i Grigioni con la Lombardia, la Svizzera con l’Italia. Non è lontano dallo Spluga. Lo utilizzavano gli alpigiani per i pascoli estivi. La sua altitudine è comunque considerevole: 2352 metri. 
Dunque inutile parlarne se non fosse per la svista di uno sbadato cartografo e per l’accesa querelle diplomatica che ne dipese, uno dei vari dissidi insorti sul confine italo-svizzero che, diversamente dalle apparenze, non è mai stato del tutto pacifico. Al Baldiscio il confine non segue lo spartiacque, deborda a ovest a favore dell’Italia, includendo l’alpeggio della Serraglia. Questione di antichi possessi, risalenti al XIII sec., che gli abitanti di Mesocco, svizzeri della Mesolcina, non hanno mai digerito. Ci furono vertenze, memoriali, sequestri di bestiame e litigi sfociati in violenza, durati secoli.
Nel 1892 viene pubblicato il foglio 6 della Carta d’Italia dell’Istituto Geografico Militare, il primo rilievo ufficiale del Regno a scala 1:100 mila. Nella carta, inspiegabilmente, il confine del Baldiscio è fissato sulla linea spartiacque e non più sul limite tradizionale della Serraglia. Se gli Svizzeri cercavano un appiglio per rivendicare presunti diritti eccone uno, più che buono e insperato in quanto legittimato proprio dalla parte avversa. Così che la questione non riguarda più solo la proprietà dei pascoli, ma anche la sovranità politica del territorio.
L’errore è lampante anche se nessuno pare accorgersene, o forse, in Italia, nessuno ne dà peso avendo a che fare con ben altre rivendicazioni sul confine orientale. In seguito si scoprì che la causa fu dovuta a una superficiale ricopiatura della corrispettiva carta svizzera, di qualche anno anteriore, e che evidentemente vedeva la questione dal suo punto di vista.
Passano nel silenzio alcuni anni. Il 26 luglio 1906, qualche settimana dopo l’inaugurazione della galleria del Sempione che doveva suggellare la fratellanza fra Italia e Svizzera, l’”anzëiger”, ovvero il delegato alla forza pubblica di Mesocco, sale alla Serraglia e sequestra 12 cavalli e 200 pecore degli alpigiani italiani, ritenendo gli animali in territorio elvetico.
Immediata la ritorsione, con il sequestro di animali dell’opposta fazione. Nel 1907 si nomina una commissione mista per addivenire a una soluzione pacifica. Si dovettero riesumare documenti antichi, dibattere sul loro valore, riconoscere o disconoscere toponimi antichi (da cui conseguivano le ipotesi di posizionamento del confine), stabilire da chi e a chi e per quanto tempo furono affittati gli alpeggi, a chi si versava l’imposta prediale, riscontrare altre cartografie e mappe catastali. Infinite discussioni che, alla fine, non portarono a nulla, restando ognuno sulle proprie convinzioni.
Nel 1910 gli Svizzeri chiesero formalmente di fissare il confine al colmo del passo del Baldiscio. Di fronte al fermo rifiuto italiano i delegati confederali si dichiaravano disposti a una tacita accettazione, ma solo “pro bono pacis”, per non sollevare spiacevoli conseguenze.
I cartografi italiani si affrettarono a rettificare le loro carte. Nel 1930 un cippo – il numero 15 – fu fissato al limite della Serraglia, circa un chilometro al di là del passo. Il 24 luglio 1941 una Convenzione ratifica lo stato di fatto ponendo – forse – termine alla questione. Un po’ di ruggine è rimasta. Per rimarcare una sottile diversità di vedute, gli italiani chiamano il passo Baldiscio, gli svizzeri Balniscio!"
  

  12/01/2024

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